Condannare Google per il nostro digital divide
Accade che un giudice italiano, Oscar Magi - quello del caso Abu Omar, anyone? -, abbia condannato in primo grado i responsabili di Google Italia per violazione della legge sulla privacy, in riferimento al video del 2006 sul ragazzino diversamente abile pubblicato su Google Video, mentre li ha assolti dalle accuse di diffamazione.
Si afferma che Google avrebbe dovuto ottenere, o avrebbe dovuto far ottenere dagli autori del video, una liberatoria per la pubblicazione delle immagini che rendono evidente il problema psicofisico del ragazzino.
Di fatto si pretende che le piattaforme basate sugli user generated content diventino interamente responsabili per le azioni e le possibili violazioni dei loro utenti. Follia. O meglio completa ignoranza dell'argomento preso in esame.
Derubricare il provvedimento come un esempio di scarsa cultura digitale vorrebbe dire semplificare un problema che affligge non solo una larga parte del Paese, ma che non risparmia neppure le élite legislative.
Il tribunale di Milano ha condannato tre dirigenti di Google accusati di diffamazione e violazione della privacy per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione sul motore di ricerca di un video che mostrava un minore affetto da sindrome di Down insultato e picchiato da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. A tre imputati sono state inflitti sei mesi di reclusione. Un quarto dirigente che era imputato è stato assolto. Si tratta del primo procedimento penale anche a livello internazionale che vede imputati responsabili di Google per la pubblicazione di contenuti sul web.